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Per legge il pane è quel prodotto ottenuto dalla cottura di una pasta convenientemente lievitata e preparata con farina, acqua e lievito, con o senza l’aggiunta di sale. Molto semplice.
Per essere buono e ben digeribile il pane deve essere ben lievitato, leggero, di colore, aroma e gusto gradevoli, ricco di sapore, ma non troppo salato. La crosta deve essere sottile e croccante, la mollica morbida e soffice, uniformemente spugnosa, non umida o gommosa.
Il pane più digeribile è quello ottenuto da una lievitazione acida dell’impasto. Tale lievitazione richiede tempi lunghi ed è portata a termine da una microflora eterogenea in grado di liberare numerosi prodotti di fermentazione secondarie.
Come si fa il pane
Il pane è l’alimento più antico della nostra dieta. Si fa nel modo più semplice: si impasta la farina con l’acqua e il lievito. La si lascia fermentare e la si mette nel forno.
Fare pane comunque non è facile, farlo buono e bello lo è ancor meno. Grazie alla rivalutazione della dieta mediterranea il pane ritorna ad avere un ruolo fondamentale nella nostra alimentazione.
Vediamo in dettaglio i suoi ingredienti e la sua lavorazione.
La farina
La farina si ottiene macinando i chicchi (o «cariossidi») di grano o altri cereali.
Ci sono vari tipi di farine. La farina di grano duro viene usata soprattutto per le paste: spaghetti, rigatoni, fusilli, data la qualità elastica della pasta ottenuta.
La farina di grano tenero, invece è usata per fare il pane e i prodotti di pasticceria. Si suddivide in farina tipo 00 (quella più raffinata, bianchissima, senza crusca) e via via, sempre meno elaborata, in farina tipo 0, tipo 1, tipo 2, fino ad arrivare alla farina integrale.
La farina di altri cereali può essere usata per fare il pane, ma poiché questi cereali (orzo, avena, segale, riso ecc.) sono poveri di glutine, il frumento rimane il cereale per eccellenza.
Le altre farine possono essere mischiate col frumento al massimo per il 10%, altrimenti il pane prodotto sarebbe troppo compatto.
L’impasto
Si mescola farina, acqua, lievito, sale in un apposito macchinario. Per i pani speciali si aggiungono in giusta dose altri ingredienti, per esempio l’olio di oliva, lo strutto, il latte. Durante questa fase le proteine della farina o glutine, unite all’acqua si modificano, rendendo l’impasto molle, soffice, elastico.
Divisione in pastelle o formatura
L’impasto viene diviso generalmente a macchina, in pezzi di peso uniforme o pastelle e quindi rifinite nelle forme volute: biovetta, rosetta, tira-misù, mantovana, michetta, ciabatta, filone, baguette ecc.
Si pongono quindi sopra delle assi di legno e si mettono nella cella di lievitazione.
Il lievito e la lievitazione
La lievitazione del pane è un processo biochimico sostanzialmente simile a quello che si ha durante la fermentazione del mosto d’uva per fare il vino, o del mosto di malto per la birra. Nel caso del pane però è importante riuscire a far trattenere la maggior quantità di gas di fermentazione all’interno della pastella, perché possa diventare leggera e spugnosa, cioè gonfiarsi e aumentare di volume.
Durante la lievitazione le cellule di lievito trasformano gli zuccheri, che vengono prodotti sia dall’azione di enzimi normalmente preesistenti nelle farine (analisi del frumento) sia degli enzimi specifici aggiunti con gli estratti di malto (amilasi del malto) oppure con particolari preparati a base di amilasi batteriche e/o fungine. Dal glucosio il lievito produce alcol etilico e anidride carbonica (CO2). Questo è il gas principalmente responsabile nella fermentazione della tipica struttura spugnosa, alveolata del pane.
Accanto all’alcol etilico e alla CO2 si formano numerose sostanze in quantità limitate, ma essenziali per l’aroma, per il gusto, per la conservabilità del pane: acido acetico, acido lattico, esteri, chetoni, glicerina, alcoli vari, acetilmetilcarbinolo, glicoli, amminoacidi ecc.
In sostanza la lievitazione rappresenta la tappa fondamentale durante la quale vengono in gran parte avviate o portate a termine le complesse operazioni che trasformano la pasta in pane.
È molto importante il tipo di lievito usato. Quello di birra consente una lievitazione più veloce ed è così chiamato perché è costituito dagli stessi microorganismi usati per la produzione della birra.
Il lievito compresso ex lievito di birra, è ottenuto facendo moltiplicare migliaia di cellule del lievito in enormi vasconi nei quali come alimento vengono immesse sostanze zuccherine di scarto (melasse di barbabietole) e sostanze chimiche quali sali di ammonio, urea, fosfati e vitamine sintetiche.
Questo lievito permette al panificatore di ridurre i tempi di lavorazione e, insieme agli additivi chimici, di avere una lavorazione più controllabile ai fini del volume e delle forme desiderate. Il lievito di pasta acida invece è un pezzo di pasta della lavorazione precedente lasciato lievitare a lungo. Anche se più lunga, come già detto, questa lievitazione produce un pane migliore.
La cottura
Si tratta dell’ultima e più delicata fase della panificazione: la cottura avviene a 200-300° C per un tempo che varia da 20 minuti a un’ora, a seconda della forma.
Durante la cottura l’impasto aumenta di volume, perde parte della sua acqua per evaporazione e prende l’aroma e il colorito dorato e la croc-cantezza del pane che mettiamo in tavola.
Non è una fase semplice e se non viene eseguita alla perfezione il pane risulta difettoso; per esempio, se non sono stati rispettati i tempi della lievitazione, il pane resterà piccolo e la mollica spessa e pesante.
Se invece la cottura è fatta a temperature troppo elevate, la crosta impedirà la giusta evaporazione dell’acqua. Il pane così ottenuto sarà umido, poco cotto e meno digeribile. Anche la crosta molto scura è un indizio di cattiva cottura: o troppo lunga o fatta a temperatura troppo alta.
Cosa bisogna sapere sul pane
Quante cose sentiamo dire e quante cose sappiamo veramente sul pane
Il pane è un alimento completo
FALSO. Innanzitutto nessun alimento è completo dal punto di vista nutrizionale. Mancano nel pane alcune vitamine fondamentali come la A e la C, che si trovano invece nella frutta e nella verdura, e diversi aminoacidi essenziali come la lisina, presente invece nel latte.
Quindi mangiare solo o in prevalenza pane è sbagliato, ma basta aggiungervi frutta e latte e la dieta si riequilibra.
Il pane non può essere indigesto
VERO. È un alimento digeribile perché l’amido della farina viene parzialmente «digerito» o scomposto durante la lievitazione. Potrebbe risultare leggermente indigesto quello appena sfornato, perché essendo più ricco d’acqua, diluisce i succhi gastrici che non attaccano bene l’amido. Meglio quindi mangiare il pane freddo.
Il pane dura meno di una volta
VERO. Ciò è dovuto all’uso di farine meno ricche di glutine che danno pani con molta mollica e più gommosi. Risparmiando inoltre sui tempi di lievitazione il pane dura meno. Le pezzature da 1 chilo e oltre sono meglio conservabili.
Il pane di oggi è diverso da quello di una volta
VERO. Abbiamo già detto che le farine sono più povere di glutine, che si tende a risparmiare sul tempo di lievitazione, con il risultato di avere un pane meno croccante e meno conservabile.
Ci consola comunque il fatto che l’igiene attuale garantisce di più il consumatore, anche se si aggiungono alle farine ingredienti sbiancanti e antimuffa (acido sor-bico e tartarico), tensioattivi per mantenere il pane fresco, acido ascorbico per renderlo soffice, solfato di rame e altri ancora.
Le frodi tipiche di una volta: aggiunta di polvere di marmo, gesso, segatura, caolino, solfato di bario, oppure la mescolanza di farine meno pregiate (farine di fave, di ceci, di orzo), non si attuano più.
Il pane del supermercato e il pane del panettiere
Acquistare il pane al supermercato vuol dire preferire il pane di lavorazione industriale. Quasi sempre, infatti, il confezionamento e la distribuzione presuppongono un ciclo automatizzato molto spinto.
Il pane reperibile al supermercato può essere fresco (sempre e comunque cellofanato), a lunga conservazione e adesso anche surgelato.
Quello fresco dura due o tre giorni. Non mi sembra un pane di qualità e spesso è addizionato con E472 o la lecitina. Sono additivi permessi dalla legge, ma è meglio preferire un pane esente.
Il pane a lunga conservazione dura alcuni mesi. Proprio per garantire la lunga conservazione a questo prodotto (in forma di panini morbidi tipi hamburger dei fast food, di pane a cassetta per toast e tramezzini, di panini per tartine) vengono aggiunte sostanze grasse per mantenere la morbidezza, additivi E282 contro la muffa, E472 emulsionante e stabilizzante.
Se leggete l’etichetta vi accorgerete anche che sono trattati con alcol etilico sulla crosta.
Il pane surgelato è già cotto e lievitato. Basta solo metterlo nel forno pochi minuti per avere l’illusione del pane cotto tradizionalmente. Per garantire la conservazione, anche questo è addizionato di lecitina.
Il fornaio, il panettiere, il panificatore
Non tutti i panettieri sono fornai. Quando entrata in un negozio di pane, fate caso se nel retro c’è un forno. Molti negozi infatti sono solo delle rivendite che si fanno portare il pane da altri fornai che lo producono per loro o da panifici industriali.
Controllate che il vostro panettiere sia pulito, che indossi il grembiule bianco, il cappellino e non tocchi i soldi mentre tocca il pane. Per legge il pane va venduto a peso e non a pezzo.
Conservare il pane fresco
Il pane va comprato fresco tutti i giorni. Abbiamo visto che spesso, già alla sera, diventa gommoso. Per l’emergenza comunque si può conservare in frigo due o tre giorni. Il pane di scorta conservato nel freezer dura anche un mese, ma dovete ricordarvi i toglierlo quattro o cinque ore prima di mangiarlo.
Le farine italiane
La qualità delle farine da pane è andata via via peggiorando, a motivo della selezione delle varietà (culti-var) e dell’impiego massiccio di fertilizzanti e prodotti chimici in genere per aumentare la produzione. Nonostante le nostre profonde tradizioni agrarie, quasi tutta la farina che serve a produrre il pane italiano proviene da altri paesi. Le farine italiane devono essere tagliate con altre «di forza», importate dal Canada, dagli USA, dalla Francia, dall’Australia.
Questo accade perché i grani adatti alla trasformazione in farine per fare il pane hanno una resa inferiore agli altri, di solito destinati all’alimentazione del bestiame.
I grani migliori, del resto, non vengono compensati con un prezzo di vendita che faccia recuperare la minor resa per ettaro.
Le tecniche molitorie
Tutta la farina viene prodotta ormai con molini a cilindri metallici. Un tempo questa operazione veniva fatta con i mulini a pietra, oramai pressoché scomparsi.
Con questi mulini, che fanno dai 60 ai 100 giri al minuto, la farina non si scalda, gli amidi si impregnano degli olii del germe per effetto dello sfregamento e le cellule dello stato aleuronico liberano la fitasi, un enzima che neutralizza l’acido fitico.
Questo acido, presente nel cereale, tende a fissare il calcio, il magnesio e altri elementi, trasformandoli in sali non più assimilabili: la fitasi lo neutralizza.
La cellulosa degli strati più esterni viene ridotta in fiocchi più o meno grossi a seconda della consistenza (crusca e cruschello) e delicatamente amalgamati agli altri componenti: questa è la farina integrale. Se tale farina viene leggermente setacciata, eliminando il 6-7% di crusca, si ottiene la cosiddetta farina completa. La farina completa, però, dura meno e irrancidisce.
I molini metallici, che hanno cilindri che girano a 300-400 giri al minuto, consentono di scorticare il chicco a strati, raccogliendo separatamente la crusca, il cruschello, il germe e gli amidi.
Gli inconvenienti: le cellule dello strato aleuronico non si aprono e non si libera la fitasi. Il calore e l’elettricità del metallo, inoltre, producono perdite vitaminiche e altri danni non tutti valutabili chiaramente. La farina così raffinata, priva del 20-30% delle sue componenti rimane povera di proteine, vitamine del gruppo B, vitamine E e K, oligoelementi, enzimi, acidi grassi essenziali del germe, fibra e fissati.
La tecnologia di produzione
Nella lavorazione del pane si possono seguire metodi diversi.
Il metodo diretto, durante il quale si impastano in un’unica volta tutti gli ingredienti, si lascia riposare la pasta, quindi la si trancia, la si modella, la si lascia lievitare e la si cuoce.
Metodo indiretto. Si prepara un’im-pasto che contiene solo una parte della farina e dell’acqua e tutto o parte del lievito. Si lascia riposare e quindi si aggiunge l’acqua e la farina ed eventualmente il lievito mancante. Si aggiungono il sale e gli eventuali ulteriori ingredienti e si rimpasta tutto di nuovo. Poi si procede come nell’altro metodo. Con questo sistema si fanno michette o rosette, filoni e pagnotte dal gusto più delicato e più ricco del pane ottenuto col metodo diretto.
Metodo a più riporti. Si usava in passato prima dell’introduzione del lievito compresso. In questo metodo una piccola parte dell’impasto di un’infornata viene lasciato a riposare nella madia, a volte anche per più giorni. Continuamente, però, di giorno in giorno viene rimpastato con sola acqua e farina; dopo alcuni giorni esso va a costituire il terzo dell’impasto finale al quale vengono aggiunti il sale e gli altri ingredienti.
Dopo l’impastamento finale la pasta viene tagliata in pastelle e lavorata come negli altri metodi.
È un sistema più difficile, che può comportare grossi inconvenienti se non attuato alla perfezione, ma che dà risultati quasi sempre eccellenti.
Gli additivi del pane
Come la maggior parte degli altri alimenti, con la crescente industrializzazione gli ingredienti del pane si sono modificati e gli additivi sono entrati nell’uso comune della panificazione.
L’uso degli additivi, ad esempio, risolve il problema del lavoro notturno. Per legge, infatti, i fornai devono riposare dalle 21 alle 4, quindi se il pane fresco deve essere pronto alle 6 l’unica soluzione è ricorrere agli additivi che accelerano la lievitazione. Dal punto di vista tossicologico gli additivi permessi sono piuttosto sicuri. Molti di essi sono naturalmente presenti negli alimenti e sono considerati praticamente atossici (acido acetico, acido sorbico, acido lattico, acido ascorbico).
Tuttavia una scelta attenta delle farine, la conoscenza del proprio lavoro, dei fenomeni fermentativi, il ricorso a impasti indiretti o addirittura a impasti acidi, unitamente all’uso sapiente degli estratti di malto, del lievito complesso, del buon vecchio aceto di vino, possono consentire al panettiere di ovviare a qualunque inconveniente senza ricorrere agli additivi alchimistici, più o meno scoperti. Senza contare che resta il dubbio che l’uso di queste sostanze serve soprattutto a coprire la cattiva qualità delle farine impiegate.
Infatti soprattutto per il pane speciale esistono dei «semilavorati» o «coadiuvanti della lievitazione». Si tratta di miscele di olio e strutto emulsionati, contenenti zucchero, acido ascorbico, a e b amilasi, emulsionanti. Prodotti indubbiamente comodi che non sempre il panificatore sa impiegare correttamente.
A parte il loro costo, il loro modo d’impiego, il consumatore dovrebbe almeno essere avvertito che sono stati usati in quel tipo di pane.