Indice
Per ragioni igieniche, ideali, salutiste c’è chi non si ciba di qualsiasi tipo di carne.
Secondo i vegetariani le carni sono leggermente tossiche, eccitano perché contengono purine, snervano, invecchiano il nostro organismo, producono acido urico e favoriscono l’ipertensione. Sempre secondo la scienza naturista, durante la digestione i batteri intestinali, invece di agire come fermenti attivi, provocano la putrefazione del bolo alimentare e il sangue si riempie di tossine. Per eliminarle l’organismo deve consumare energia, che viene sottratta alle altre attività, compresa quella cerebrale.
Le tossine che derivano dalla carne disturbano il corretto metabolismo degli amidi e dei carboidrati, con pericolo di insorgenza di diabete.
Nella carne sono presenti rifiuti di ogni tipo provenienti dai vasi sanguigni dell’animale, residui di droghe somministrate attraverso i vaccini, gli antibiotici, ormoni, anabolizzanti, farmaci vari, tossine sintetizzate dallo stesso animale al momento della macellazione e diffuse in tutto il sistema sanguigno, batteri provenienti dalla decomposizione dei tessuti, che la cottura non distrugge sempre perché la carne è un buon isolante termico. Forse i vegetariani esagerano, ma sicuramente il consumo mondiale di carne, le zone di produzione, le sperequazioni che ne risultano, i disastri ambientali, l’inquinamento degli allevamenti intensivi dovrebbero farci meditare.
Ma l’industria non ragiona con il cuore (forse nemmeno col cervello) e insegue costantemente profitto e nuove percentuali di espansione. Quello delle carni conservate è attualmente un mercato che tira. Sono sane, sono buone, sono da consigliare? È quello che vedremo.
I salumi: una storia culinaria
Anche in un solo negozio si trovano un’infinità di tipi di salumi, se dovessimo sommare tutti quelli di tutte le regioni d’Italia arriveremmo a mille e oltre.
Il salame, il prosciutto, le salsicce fanno parte della nostra storia gastronomica. Hanno rappresentato un forte valore sociale soprattutto per i contadini: riserva per i tempi di magra e occasione di festa e di baldoria durante i pranzi delle ricorrenze religiose o i banchetti nuziali.
Oggi sono diventati alimenti di consumo meno «occasionale», per la gratificazione del gusto forte che offrono, e come alternativa a un pasto cucinato.
Un banco di salumeria è una festa di colori, con i suoi toni di rosso, di rosato, di rosa e bianco, di rosso scuro. Una gioia per gli occhi e uno stimolo gastrico. È, difficile dire di no a una bella fetta di salame.
Il salame
Una premessa fondamentale, anche se ricorrente: la produzione industriale ammazza il sapore e appiattisce il livello gustativo. Le specialità e le varietà tipiche sono o sarebbero ancora possibili solo nelle piccole e piccolissime industrie locali, regionali, dove il clima, gli ingredienti, la lavorazione sono particolari considerati ancora fondamentali e non estendibili a tutto il territorio nazionale. Forse, con la produzione industriale ne ha guadagnato 1’igienicità e la sicurezza batterica, la distribuzione, ma non certamente il gusto.
In passato il salame prima di venire mangiato doveva stagionare almeno sei mesi, con un inevitabile calo di acqua e di grasso. I controlli sulla stanga erano regolari, lo stato di maturazione tenuto sotto controllo. Si usavano cantine o ambienti adatti, con ventilazione, umidità, temperatura tutte naturali.
Ora è tutto meccanizzato, ma non potrebbe essere diversamente, dato il grande numero di quintali consumati all’anno: la stagionatura avviene in alternanza in celle frigorifere
e in forni, il che restringe in modo artificiale il tempo di invecchiamento. Si tratta di una stagionatura accelerata: gli sbalzi termici caldo-freddo simulano gli anni. L’industria non ha tempo da perdere!
Quali sono le variabili che danno origine ai vari tipi: l’animale (maiale, bue, cavallo, cinghiale, oca); il tipo di carne (anteriore, posteriore, capocollo, pancia); il tipo di grasso, la grossezza dei pezzetti macinati; il tipo di budello (naturale o sintetico) usato che definisce il diametro del salame e il peso; gli altri ingredienti usati e il loro dosaggio (le spezie, gli additivi, i conservanti, i coloranti, gli aromi); la modalità e la durata della stagionatura.
La conservazione
La conservazione del salame si ottiene applicando varie tecniche, anche combinate tra loro: salatura, additiva-zione, essiccamento, fermentazione, affumicamento, pastorizzazione, stufatura. Le carni per il salame vengono scelte
e tritate. Si aggiunge all’impasto una percentuale di grasso tagliuzzato e si mescola per ottenere un tutto omogeneo: si aggiungono quindi sale e spezie. Per evitare sorprese si fa uso abbondante di additivi (nitrati e nitriti) e di aromi non sempre di origine naturale e strettamente necessari. Le carni così trattate vengono infilate nei budelli con macchine generalmente sottovuoto. Quindi si legano per dare la sagomatura voluta e si portano in apposite «stanze» per la maturazione.
I cambiamenti che subiscono gli insaccati da questo momento sono notevoli e conferiscono loro le note e apprezzate caratteristiche. La pasta subisce delle trasformazioni a opera di microorganismi contenuti nella carne: micrococchi e lactobacilli. I primi gruppi di batteri agiscono sui lipidi producendo acidi grassi liberi.
I lactobacilli pare contribuiscano a determinare una lenta acidificazione del prodotto, creando un ambiente adatto ai micrococchi e impedendo ulteriori contaminazioni.
Nel corso della stagionatura gli insaccati sono soggetti ad alterazioni, che ne modificano più o meno le caratteristiche. Le origini di queste alterazioni possono essere di varia natura, ambientali ed errori di lavorazioni e di stagionatura. Le più ricorrenti sono: ammuffimento, fermentazione acida, putrefazione, ingrigimento dell’impasto, cattivi odori, essiccamento, spaccatura, irrancidimento. La buona riuscita del prodotto dipende dalla qualità della carne e del grasso, dalla flora batterica, dalle condizioni di stagionatura.
Un buon prodotto di partenza e una tecnologia adeguata possono limitare la comparsa di queste alterazioni.
Gli ingredienti
I migliori sono fatti con carne magra di suino e 30% di grasso, sale e pepe, peperoncino, paprika, aglio e vino. Ma di solito vengono aggiunti anche zucchero, latte scremato in polvere, caseinati, nitrato come conservante, l’antiossidante acido 1-ascorbico e il conservante più pericoloso: il nitrito. Sia i nitrati che i nitriti sono molto pericolosi in dosi elevate essendo ritenuti tossici e cancerogeni dato che concorrono a formare le pericolose «nitrosammine».
Perché pur essendo così pericolosi, non si aboliscono? La fortuna di questi conservanti è dovuta al colore rosso che donano alla carne, che contribuisce all’effetto di carne lucida e fresca quando si taglia la fetta. Anche in questo caso abbiamo una questione di educazione e cultura. Se invece di prendere per il naso il consumatore propinandogli colori di effetto si dichiarasse che più di così non si può fare, lasciando alla carne il suo colore naturale, forse questi capirebbe che il prodotto non è poi così bello e sano come sembra. Quel colorino di carne grigia ossidata, anche nel salame, non favorirebbe certo le vendite. L’illusione ottica aiuta nell’ingano. Idem per il prosciutto e altri prodotti carnei variamente conservati. Il bel colore rosso vivo è tutto artificiale.
Le etichette
Visto che il salame è un prodotto soggetto a calo di peso, oltre alla fascetta con le indicazioni di legge, a volte è necessaria un’etichetta con la data di confezionamento del negozio, non del salumificio, il prezzo al chilo e il peso netto.
Se non c’è la fascetta i salami devono comunque avere un bollino metallico legato allo spago riportante gli ingredienti e la data di inizio della stagionatura in numeri romani per il mese e in arabi per l’anno (per esempio «VI 93» per giugno ’93). Questi numeri sono così piccoli che è difficilissimo decifrarli. Comunque, i salami vengono messi in vendita un mese, un mese e mezzo dopo la fabbricazione e si conservano altri due o tre mesi.
Non è più pertinente affermare che il salame più stagiona e più diventa buono. Un tempo sì, mentre oggi il sapore dei salami prodotti industrialmente non migliora col tempo. Sono fatti per essere mangiati subito, perché l’additivazione spinta ne blocca sapore e colore.
La trasformazione interna
Abbiamo visto che la carne cruda dentro il budello animale trova un ambiente adatto e viene trasformata dai lactobacilli e dai micrococchi nel prodotto dal gusto caratteristico che conosciamo.
Grazie a questi microorganismi, alla progressiva diminuzione dell’acqua, all’ambiente acido che si forma, il salame si conserva per alcuni mesi.
Nella produzione artigianale la selezione di questa microflora utile avviene lentamente e in maniera spontanea, ma a livello industriale essendo questo quasi impossibile, si usano delle sostanze «starter» che garantiscono l’effetto. Neppure queste sostanze vengono (giustamente, per non spaventare il consumatore) dichiarate in etichetta.
La carne usata dovrebbe essere «magra e ben scelte», ma nei salami va a finire di tutto, anche tendini, tessuti connettivi vari e collagene, tessuti molli come uteri e mammelle, sicuramente meno pregiati.
Per questi motivi, e perché il sapore non è un metro di giudizio sempre affidabile, bisogna leggere gli ingredienti riportati sull’etichetta e preferire quei salami che costano di più, a meno che non conosciate l’ormai mitico contadino o il piccolo salumificio dove fanno ancora le cose per bene. In generale, comunque, i salami comuni, proprio per la stagionatura accelerata in frigo e forno, presentano un marcato gusto di carne cruda non ancora stagionata.
Per l’elevato numero di calorie, 350/400 per hg e per l’eccesso di grassi — grassi saturi — e le altre sostanze innominate presenti è bene consumare il salame solo in particolari occasioni e non inserirlo regolarmente nella dieta giornaliera.
Salami famosi e loro composizione (teoriche)
Salami a grana grossa.
-Salame toscano o finocchione. Può essere fatto solo di carne suina o contenere anche carne bovina. Nel primo caso contiene metà di carne e metà di grasso di guanciale. Oltre al sale, pepe e l’aglio si usano i semi di finocchio, donde il nome. Tre mesi di stagionatura.
-Salame di Fabriano. Misto di carne suina e bovina magra. Grasso al 25%, pepe intero e macinato. Più è grosso e più tempo richiede per la maturazione, fino a quattro-cinque mesi.
-Salame tipo «Genova». Formato da 50% di vitellone, 20% di carne suina e 30% di grasso di maiale. Pepe e aglio. Si mangia fresco dopo appena 20, 30 giorni di stagionatura.
-Salame veronese. Si fa dolce e all’aglio. La carne può essere solo di suino o mista con bovino, idem per il grasso. Stagionatura tre-quattro mesi a seconda dei tipi.
-Salame di Napoli. Tre parti uguali di carne suina, vitellone e grasso di maiale. Oltre al pepe e all’aglio si aggiunge il peperoncino e la pa-prika che dà il colore rosso. Viene anche affumicato. Stagionatura quattro mesi.
-Salame di Felino. È un sottoprodotto prezioso di rifilature magre di prosciutti, coppe e lombate. La carne si sottopone a una lavorazione accurata e meticolosa. Contiene pepe. Stagionatura tre mesi.
-Salame di Varzi. Prodotto tipico del piacentino è fatto tutto di suino con 30% di grasso. Pepe e aglio nell’impasto. Stagionatura due-quattro mesi.
Salami a grana fine.
-Salame Milano. È un buon salame in piccoli e grandi formati. Può essere misto o solo di carne di suino, grasso al 33%. Pepe nero e aglio pestato nel vino rosso. Lo caratterizza la macinatura molto fine. Stagionatura circa tre mesi.
-Salame ungherese. Proveniente da Budapest, è conosciutissimo in Italia. Tre parti uguali di carne suina, vitellone e grasso di maiale. Pepe, • aglio e paprika. Affumicatura e stagionatura di tre-quattro mesi.
Il prosciutto crudo
Il prosciutto crudo è un prodotto di gran lunga più sicuro del salame e soprattutto il prosciutto prodotto dai consorzi che seguono modalità di produzione controllate e disciplinari severe.
I suini utilizzati devono essere di stagione, allevati con norme precise, sani e selezionati con lo scopo preciso e dichiarato di farli diventare «prosciutti».
Il prosciutto si prepara con cosce di maiale frollate appendendole in ambienti controllati per alcuni giorni a 3-4°C.
Il ciclo di lavorazione prevede quindi la selezione, la rifilatura, la salagione, il riposo, il lavaggio, l’asciugamento e la stagionatura.
Sono tutte fasi importanti, dove i controlli e la severità nello scartare i prosciutti che presentano difetti, lussazioni, fratture del femore, contusioni profonde, fanno arrivare al consumatore soltanto un prodotto di qualità.
La salatura, che si fa massaggiando energicamente la coscia con sale e, nei giorni successivi, con un miscuglio di sale, pepe, nitrato e zucchero, è una fase importante, ma tutto il ciclo, come già detto, è fondamentale, non ultima la stagionatura e il luogo, naturale o industriale, dove questa viene fatta.
Il prosciutto viene messo in vendita dopo circa sei mesi.
Quelli marchiati, e quindi migliori, vengono stagionati dodici e anche quattordici mesi.
Il prosciutto cotto
Completamente diverso il trattamento e la selezione, meno severa e rigorosa, del prosciutto cotto. Per questo prodotto in genere si utilizzano cosce congelate di suini provenienti dall’estero, che non presentano le qualità minime richieste per il crudo, sia riguardo al peso sia per i difetti della carne e le rotture del femore.
Dopo le normali fasi di scongela-mento, salatura (per immersione o per siringatura), zangolatura, si pressano i prosciutti in stampi di alluminio e si cuociono in acqua o in forni a vapore saturo.
Nello stampo possono finire non solo cosce posteriori, ma anche altre parti meno pregiate.
L’impiego dei nitrati e dei nitriti mantiene il colore rosso della carne, 1′ acido ascorbico permette, nonostante il trattamento termico, la formazione di ferroemocromo, fissando il color rosa così tanto pregiato mentre i polifosfati (miscele di pirofosfa-ti, metafosfati e polifosfati di Na e K) riducono le perdite di acqua, che determinerebbero un prodotto secco e stopposo.
Per aumentare la possibilità di assorbimento dell’acqua vengono aggiunte, oltre al sale, agar agar (una gelatina), destrine (ricavate dall’amido), polvere di latte e zuccheri.
Una volta questi additivi si usavano per nutrire la flora batterica che trasformava i nitrati in nitriti.
Ora possono servire solo per aumentare il peso con la ritenzione idrica dato che i nitriti si aggiungono direttamente. Più acqua equivale a meno prodotto.
Il prosciutto cotto non necessita di stagionatura, anzi, e dopo 24 ore dalla lavorazione viene già posto in vendita.
Il prosciutto cotto già tagliato a fette e confezionato
In busta di plastica o in vaschetta termosaldata il prosciutto cotto è un prodotto deperibile. Nonostante questa sua caratteristica, la legge non ha fissato un termine massimo di conservazione o definito le caratteristiche microbiologiche che il prosciutto dovrebbe avere.
Nonostante sia molto diffuso perché pratico, il prosciutto già tagliato e confezionato contiene troppi additivi, troppi batteri e presenta un gusto decisamente insufficiente. Preferibile, come tutti possono immaginare, il prosciutto appena affettato.
La mortadella
La mortadella, come i wurstel o le salsicce viennesi, tra gli insaccati dà meno garanzie.
Si produce con gli scarti di lavorazione della carne suina che invece di finire nei mangimi per animali, vengono «nobilitati» in mortadelle.
La preparazione «da manuale» consiste nella cernita, dosaggio e congelamento in pani di parti magre suine (o bovine); di trippini suini; di emulsioni di grasso e cotenna; di lardelli di pancia e di gole suine.
Si trita tutto molto finemente, si additiva e aromatizza con cura e si insacca nei budelli.
Quindi si cuoce in stufa fino a95-100″ C per molte ore e si mette in vendita.
Il valore nutritivo della mortadella lascia molti studiosi diffidenti. Inoltre, dato che il consumatore non ha possibilità di ottenere nessun controllo sulla provenienza delle materie prime usate, non basta il processo UNI della lavorazione e l’acciaio inox dei recipienti a garantire della sua qualità.