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La relazione tra i soggetti che vendono in modo professionale beni e servizi, siano essi persone fisiche o giuridiche, ed i consumatori, che di tali beni e servizi hanno bisogno per soddisfare le proprie esigenze di vita, è caratterizzata da un innato squilibrio. La competenza del professionista, le informazioni di cui dispone, nonché la sua forza contrattuale e finanziaria, gli permettono di imporsi sul consumatore, il quale, a causa di questa condizione di minorazione, necessita di strumenti e strutture che possano in qualche modo «proteggerlo». Se oggi affermazioni di questo tipo suonano scontate e quasi banali, per buona parte del secolo scorso e per tutto il XIX secolo, il consumatore veniva considerato non già un soggetto «debole», bisognoso di protezione giuridica, bensì il «re» del mercato, arbitro delle fortune degli operatori economici i quali, a causa delle logiche della libera concorrenza, erano spinti ad offrire beni sempre migliori a prezzi sempre più bassi. I contraenti venivano considerati in una condizione di «parità», ugualmente in grado di perseguire i propri interessi. La volontà delle parti era la base del sistema giuridico e ciò che le parti decidevano di inserire nel contratto veniva automaticamente considerato «giusto», senza che si avvertisse la necessità di controlli da parte del giudice o di strumenti negoziali «perequativi».
Risulta essere solo intorno alla metà del secolo scorso che si pone una questione «consumatori», con l’emanazione del codice civile. In quell’epoca si assiste ad uno sviluppo economico senza precedenti che, se da un lato moltiplica e migliora i beni ed i servizi offerti, dall’altro determina una crescita della dimensione delle imprese ed un parallelo ricorso sempre più intenso a tecniche di «pressione» e di «condizionamento» del consumatore, quali la pubblicità, il marketing e il credito al consumo, strumenti in grado di spingere i consumi anche oltre i concreti bisogni e le capacità reddituali dei soggetti
Il primo atto con il quale si identifica questo cambiamento è l’art 1341-1342 cc, dove però ancora non abbiamo la caratterizzazione delle parti coinvolte nel contratto.
Art. 1341 cc, condizioni generali di contratto
Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Le clausole generali di contratto vengono utilizzate soprattutto nella contrattazione di massa, in cui la proposta contrattuale è rivolta ad un elevato numero di soggetti, come, ad esempio, nei contratti di telefonia o in quelli energetici. È essenziale che la conoscenza o conoscibilità si realizzi alla conclusione del contratto e non dopo, come ad esempio quando viene emesso lo scontrino fiscale dopo che il servizio è stato pagato. L’ultima parte della norma fa un elenco di clausole vessatorie, cioè svantaggiose per chi ne subisce gli effetti, che necessitano di sottoscrizione autonoma per consentire allo stipulante di porre particolare attenzione, ed in assenza della quale esse sono nulle.
Art. 1342 cc, contratto concluso mediante moduli o formulari
Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate. Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente
Generalmente tali tipi di contratto vengono predisposti unilateralmente da una delle parti mentre l’altra non ha alcun potere nella determinazione del contenuto. La formulazione unilaterale risponde alla necessità di dettare una disciplina unica per un gran numero di stipule. La prevalenza delle clausole aggiunte sul modulo è dovuta al fatto che esse sono oggetto di trattativa e, quindi, si ritiene siano più favorevoli alla parte debole, visto che ha concorso a determinarne il contenuto. Anche in tal caso le clausole sono nulle se non approvate specificamente e per iscritto.
A partire dall’art. 1360 cc troviamo una serie di norme sulla interpretazione del contratto, dove importante è l’art 1370 cc, interpretazione contro l’autore della clausola
Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro.
La norma è posta a protezione della parte debole che, nelle ipotesi contemplate, non ha, di regola, alcun potere di influenzare il contenuto del contratto. Nella prassi questi articoli non hanno avuto un peso rilevante, ovvero non hanno determinato una tutela forte nei confronti del consumatore. Questa esigenza ha portato alla nascita di una tutela specifica, il Codice del Consumo.
Concretamente, a seguito dell’emanazione del D. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del consumo, gli artt. 1469-bis – 1469-sexies c.c. sono stati sostituiti dall’art. 1469-bis c.c., nella sua nuova formulazione (art. 142, Codice del consumo), che prevede che i contratti conclusi dal consumatore sono disciplinati dal Codice del consumo.
Attraverso i menzionati interventi legislativi, si avverte il passaggio dalla tutela formale a quella sostanziale del consumatore. Invero, prima della riforma, la tutela del consumatore, nel caso specifico di contratti conclusi sulla base di condizioni generali di contratto e di clausole vessatorie, era data dall’applicazione dell’art. 1341 cc.
In tale ipotesi, la tutela del consumatore era solo formale, considerato che, in base all’art. 1341 c.c., le clausole abusive, se specificamente approvate per iscritto dall’aderente, sono da considerarsi efficaci.
La disciplina di derivazione comunitaria comporta un mutamento nel modo d’intendere i rapporti tra professionista e consumatore, garantendo a quest’ultimo una forma di tutela sostanziale nei confronti del primo. La nuova tutela del consumatore ha carattere sostanziale in quanto permette al giudice, diversamente dal passato, di valutare e sindacare il contenuto del contratto
Consumatore
Art. 3 Cod. del Consumo lett. a, definisce il consumatore come la “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.”
La definizione generale di consumatore va a descrivere tale figura ancorandola a due requisiti: uno facilmente apprezzabile su un piano oggettivo (deve trattarsi di una persona fisica), l’altro, al contrario, apprezzabile solo in funzione dell’analisi del singolo rapporto commerciale (deve agire per scopi estranei all’attività commerciale eventualmente svolta). Da ciò deriva che uno stesso individuo potrà ora contrattare per perseguire scopi inerenti la propria professione o attività commerciale, ora per raggiungere finalità a queste estranee, e soltanto in tale ultimo caso tale contraente potrà essere considerato consumatore ai sensi dell’art. 3 lett. a, e quindi beneficiare della normativa di favore.
Va poi detto che quello di consumatore non può essere considerato uno status (il quale, al contrario, richiede l’immodificabilità e la stabilità della situazione in cui viene a trovarsi un soggetto quale parte di un determinato gruppo). In questo caso, non è possibile pre-individuare un gruppo stabile ed immodificabile di soggetti cui attribuire la qualità di consumatore dal momento che la possibilità di essere considerati tali dipende direttamente dalla tipologia di interesse che un determinato contraente pone in essere attraverso i singoli specifici negozi che stipula. Uno stesso soggetto, infatti, anche nel concludere contratti aventi il medesimo oggetto e stipulati con la medesima controparte, potrà essere considerato ora consumatore ora professionista, a seconda dello scopo per il quale in essere quel determinato negozio giuridico.
Il consumatore quale persona fisica
Il consumatore deve essere una persona fisica. La chiarezza con cui il legislatore enuncia tale requisito determina automaticamente l’impossibilità di considerare consumatori tutti quei soggetti di diritto qualificabili come persone giuridiche. Se tale esclusione non desta alcuna problematica nel caso di persone giuridiche caratterizzate da uno scopo economico-lucrativo, non poche perplessità ha generato in dottrina l’impossibilità di estendere la qualità di consumatore a persone giuridiche caratterizzate dal perseguimento di finalità non lucrative (quali ad esempio le associazioni).
Proprio sulla base di tali considerazioni, la dottrina ha opportunamente evidenziato la necessità di estendere la nozione di consumatore anche a tutte quelle persone giuridiche che, caratterizzate da una sostanziale debolezza nei confronti delle proprie controparti commerciali, si dimostrino di fatto bisognose delle tutele previste dal codice del consumo. Tuttavia, la lettera della norma non permette di estendere la qualità di consumatore alle persone giuridiche avallando, pertanto, una definizione restrittiva di consumatore
Al contrario, però, la qualità di consumatore è stata estesa al condominio per i contratti che l’amministratore stipula per far fronte alle esigenze dei condomini. La ratio di tale scelta va individuata nella circostanza per cui il condominio viene ad essere inteso quale ente di gestione privo di una personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini. Gli atti compiuti dal condominio per mezzo del suo rappresentante, quindi, vengono ad essere giuridicamente attribuiti ai singoli condòmini che, in quanto persone fisiche, sono chiaramente qualificabili come consumatori.
Il consumatore quale soggetto che contratta per scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta
La definizione di consumatore si restringe ulteriormente se si considera che l’art. 3 lett. a, oltre ad imporre la necessità che il consumatore sia una persona fisica, richiede che tale soggetto agisca per scopi estranei all’attività professionale, imprenditoriale o artigianale eventualmente svolta. Tale ulteriore requisito esclude dalla possibilità di considerare consumatori tutte quelle persone fisiche (ad es. piccoli artigiani, piccoli imprenditori, ecc.) che, pur contrattando per perseguire finalità connesse alla propria attività commerciale, sovente di trovano in una posizione di debolezza nei confronti di operatori commerciali i quali, per potere economico, possono essere definiti nei loro confronti quali contraenti forti.
Così è accaduto per quanto riguarda l’impossibilità di estendere la qualità di consumatore ad un agente assicurativo che aveva concluso con una ditta specializzata un contratto avente ad oggetto la pubblicizzazione delle offerte effettuate dall’assicuratore ai propri clienti; nonostante tale tipologia di contratto non rientri certamente all’interno di quelli normalmente conclusi da un agente assicurativo, questi non è stato considerato consumatore e, pertanto, non ha potuto beneficiare delle tutele previste nel codice del consumo in quanto il contratto era stato stipulato per scopi connessi alla sua attività professionale.
Tali considerazioni rendono evidente che una interpretazione eccessivamente rigida della definizione di consumatore porta ad escludere dall’ambito di applicazione del codice del consumo soggetti bisognosi di tutela in quanto considerabili nella specifica circostanza quali soggetti deboli. Ciò che sembrava destare contrasti con il principio di uguaglianza dettato dall’art. 3 costituzione era proprio la difficoltà di ammettere che le tutele previste dal codice del consumo non potessero essere applicate a soggetti che, di fatto, risultavano comunque titolari di una posizione di debolezza del tutto parificabile a quella nella quale solitamente si trova una persona fisica che contratti per scopi estranei alla propria attività professionale. L’illogicità della definizione di trattamento normativo perpetrata attraverso la rigida definizione di consumatore proposta dall’art. 3 cod. cons. di dimostrava irragionevole proprio in relazione al principio di uguaglianza. La questione è stata definitivamente trattata dalla Corte costituzionale nel 2002, che definisce costituzionale tale articolo, in quanto non vede possibilità di interpretare in maniera estensiva la definizione di consumatore andando a considerare tali anche soggetti che nonostante non rientrino nei rigidi schemi definitori delineati dal codice del consumo si dimostrino comunque contraenti bisognosi di tutela in quanto di fatto soggetti deboli.
Scopo promiscuo
Particolarmente rilevante pare la problematica connessa al cd scopo promiscuo. Si è detto che la qualità di consumatore può essere attribuita soltanto a quel soggetto che, oltre ad essere persona fisica, contratti per scopo estranei all’attività imprenditoriale eventualmente svolta. Va verificato cosa accade quando una persona fisica agisce con un unico atto per soddisfare tanto bisogni connessi alla propria attività professionale, imprenditoriale o artigianale quanto bisogni che siano totalmente estranei rispetto a quella. La Corte di Giustizia europea ha chiarito che la qualità di consumatore può essere attribuita esclusivamente a quei soggetti che compiano atti che sono esclusivamente finalizzati alla realizzazione di esigenze che siano completamente estranee all’attività professionale eventualmente svolta. Ne consegue una delimitazione della figura del consumatore. Dunque i giudici comunitari richiedono ai fini dell’applicabilità delle norme di favore che l’atto compiuto dal soggetto sia totalmente estraneo ad interessi professionali anche se questi risultano, nel momento in qui l’atto viene posto in essere, solo potenziali e futuri.
L’utente quale consumatore
L’art. 3 lett. a nel definire il concetto di consumatore equipara espressamente a quest’ultimo la figura dell’utente. L’equiparazione della figura dell’utente a quella di consumatore, ovviamente, impone l’utilizzazione dei medesimi criteri al fine di verificare l’applicabilità all’utente della normativa di favore contenuta nel codice del consumo. Anche l’utente, come il consumatore, potrà quindi beneficiare del sistema protettivo delineato dal codice del consumo soltanto ove sia una persona fisica che agisca per scopi estranei all’attività professionale eventualmente svolta. Quindi, l’unica differenza che porta a distinguere le due figure si rinviene nel fatto che mentre solitamente il consumatore è la persona fisica che acquista un bene per soddisfare scopi estranei all’attività professionale svolta, l’utente è la persona fisica che richiede l’erogazione di un servizio al fine di soddisfare interessi non connessi all’attività economica dallo stesso svolta. D’altra parte, appare evidente che la natura dell’oggetto del contratto, sia esso un bene o un servizio, non condiziona assolutamente la sussistenza di una situazione di debolezza negoziale che chiama l’ordinamento a proteggere con gli stessi strumenti sia il consumatore che l’utente. Si attribuisce poi la qualità di consumatore anche all’utente di servizi pubblici i quale meriti in maniera ancor più penetrante proprio al fine di veder concretamente realizza tali interessi che, spesso, hanno rilevanza costituzionale.
Professionista
L’art. 3 lett. c del cod. consumo, identifica il professionista come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”.
La definizione di professionista, contrariamente a quella di consumatore, assume una accezione molto ampia, infatti, affinché ricorra la figura del professionista non è richiesto che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, ma è sufficiente che esso venga posso in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale. Il termine professionista non va inteso nell’accezione contenuta nel codice civile, art. 229, quale soggetto che esercita una professione intellettuale, ma si tratta di un concetto più generale colto a ricomprendere al suo interno tanto chi esercita una professione intellettuale quanto chi esercita attività propriamente imprenditoriali o commerciali
La disciplina del codice del consumo troverà applicazione solo ed esclusivamente nel caso in cui un consumatore entri in contratto con un professionista. Di contro, le tutele previste nel codice del consumo non troveranno applicazione nel caso in cui entrambi i soggetti siano qualificabili quali consumatori e, ovviamente, neppur nel caso in cui il negozio venga stipulato fra professionisti.
La definizione di professionista si riferisce tanto alla persona fisica quanto alle persone giuridiche. Questa è volta a comprendere qualunque soggetto che svolga una attività professionale che sia però caratterizzata dal requisito di stabilità. Nonostante l’art. 3 lett. c faccia riferimento alle sole persone fisiche e giuridiche, la dottrina propende per la possibilità di qualificare come professionisti anche gli enti di fatto (s’intende per ente di fatto un complesso organizzato di persone e di beni diretto alla realizzazione di uno scopo (economico o meno) che non ha ottenuto il riconoscimento ed è quindi privo di personalità giuridica ma che ha tuttavia soggettività giuridica) purché agiscano per scopi professionali; questo perché ciò che viene valorizzato è lo scopo professionale dell’attività posta in essere.
L’attuale definizione di professionista non specifica che il professionista possa essere oltre che un soggetto privato anche un soggetto pubblico. Comunque, le disposizioni del Codice del consumo potranno trovare applicazione in tutte quelle circostanze in cui una persona fisica entri in contatto con un entità pubblica che svolga attività d’impresa. Di contro, si ritiene che la qualità di professionista non potrà essere estesa all’ente pubblico che agisca nell’esercizio di attività meramente funzionali intendendo per tali tutte quelle attività che si pongano quale esercizio dei poteri pubblici attribuiti dall’ente.
Inoltre, è necessario equiparare la figura del professionista a quella dell’intermediario del professionista. Ciò che acquista rilevanza è la finalità che muove l’attività del soggetto tale che la ricorrenza di uno scopo professionale non può che collocare il soggetto che lo compie all’interno della definizione di professionista